venerdì 27 gennaio 2012

RIFORMA DEGLI ORDINI PROFESSIONALI: UNO STUDIO DELLA UIL METTE IN GUARDIA L’ORDINE DEI GIORNALISTI SUGLI EFFETTI DEVASTANTI CHE LA CANCELLAZIONE DEI PUBBLICISTI DALL’ALBO AVREBBE SUL LAVORO IN ITALIA

Uil e Uilcom
Comunicato stampa
RIFORMA DEGLI ORDINI PROFESSIONALI: UNO STUDIO DELLA UIL METTE IN GUARDIA L’ORDINE DEI GIORNALISTI SUGLI EFFETTI DEVASTANTI CHE LA CANCELLAZIONE DEI PUBBLICISTI DALL’ALBO AVREBBE SUL LAVORO IN ITALIA
Si allarga il dibattito sulla riforma degli ordini professionali e, proprio mentre a Roma è riunito oggi il consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, la Uil rende noto uno studio fatto dal proprio Dipartimento Comunicazione insieme alla categoria della Uilcom, che fa emergere un preoccupante quadro di perdita di posti di lavoro non solo nella categoria ma anche nell’indotto in tutta Italia nell’ipotesi, paventata da più parti, di una cancellazione dall’albo dei Giornalisti dell’elenco dei pubblicisti.
“La categoria professionale dei giornalisti – ricorda Anna Rea, segretario nazionale Uil – è regolamentata da una legge, la numero 69 del 1963, emendata di recente dal dlgs del 26 marzo del 2010, che prevede la distinzione tra giornalisti in due elenchi all’interno dello stesso Albo nazionale, quello dei professionisti e quello dei pubblicisti. E' evidente – prosegue l’esponente sindacale - che la distinzione non è fondata su criteri di valore professionale, bensì su tipologia di rapporto di lavoro e che al secondo elenco appartengono di elezione proprio quelle figure ‘flessibili’ che l'Europa e lo scenario globalizzato sempre più pressantemente richiede di istituire. Il decreto del dicembre 2011, va detto per onestà intellettuale, non impone alcuna esclusione da questo o quell'albo, ma chiede un'autoregolamentazione ai singoli Ordini, rispetto all'accesso alla professione per renderlo il meno protezionistico possibile escludendo, per tanto, opzioni di numero chiuso. La UIL si augura che le decisioni che si prenderanno per la riforma degli ordini professionali  non vadano a penalizzare,  ad escludere o a “cancellare”  nessun lavoratore, come in questo caso i pubblicisti,  solo perché anello “più debole”, anche  perché si andrebbe contro la stessa concezione di liberalizzazione che significa aprire e non chiudere nuove opportunità lavorative”.
Questa, in sintesi, la posizione ufficiale della Uil che, però, non si limita a dichiararsi contraria alla cancellazione di una fetta di gran lunga maggioritaria di lavoratori definiti appunto pubblicisti dall’Odg (circa 80 mila su un totale di 120 mila), ma fornisce anche dati eloquenti rispetto all’impatto che una decisione simile avrebbe sul mondo del lavoro.
“Nel panorama editoriale esistono circa 25.000 testate giornalistiche dirette da pubblicisti, in esse sono impiegati circa 55.000 collaboratori, anch'essi pubblicisti. La soppressione dell'elenco che li associa all'Ordine dei Giornalisti, provocherebbe, di fatto, almeno 55.000 interruzioni di rapporto di collaborazione”. A citare questi numeri è Massimo Taglialatela, segretario generale della Uilcom Campania la categoria che sovrintende, tra le altre, al rapporto con le aziende aderenti alla FIEG, la federazione italiane degli editori di giornali ed alla rappresentanza delle innumerevoli aziende del settore cartaio e cartotecnico che, con il loro lavoro poligrafico e grafico editoriale affiancano le imprese giornalistiche nella diffusione della comunicazione mediatica non solo nella carta stampata ma anche online in tutto il Paese. “Se consideriamo che nella stampa cartacea ad ogni pubblicista corrispondono circa 0.25 lavoratori di indotto (tipografici, logistica ect.) e che ad ogni testata on-line si calcola corrispondano circa 0.01 lavoratori dell’indotto – spiega Taglialatela citando i dati della ricerca - il calcolo della ricaduta porta alla seguente stima: 30.000 lavoratori on line ai quali vanno sommati quelli delle emittenze radio e tv che, moltiplicati per 0,01 e sommati ancora ai 25.000 dipendenti del settore cartaceo moltiplicato per 0.25 fanno un totale di 6.550 lavoratori i quali, naturalmente, vanno a sommarsi agli 80.000 pubblicisti, per raggiungere la cifra esorbitante di 86.550 unità lavorative”.
Occorre rilevare – prosegue lo studio Uil - che le testate vivono di pubblicità, mentre quelle che gravano sulla collettività, di norma, sono escluse dagli effetti del provvedimento legislativo il che è la beffa che si aggiunge al danno. Ebbene, il costo di un numero settimanale di un periodico cartaceo è pari a circa 4.000 euro, mentre per un on-line si calcola sia circa 250 euro. Un po' di conti porta a 25.000 cartacei moltiplicato 4.000 euro è uguale a 100 milioni di euro  per settimana. Mentre 30.000 on line sommati a radio e tv moliplicato 250 euro corrisponde a 7,5 milioni di euro per settimana. Gli effetti di rimodulazione dei costi in un periodo annuale porta ad una riduzione del 66% del valore che però assume un peso rilevantissimo: (100 + 7,5) * 52 * 0.33 = circa 1,8 miliardi di euro/anno di volume.
“Si tratta – concludono gli esponenti Uil e Uilcom - di un valore economico non certo trascurabile e, per di più, legato ad un settore a cui compete anche la valorizzazione dell'immagine culturale, morale e imprenditoriale del Paese, attraverso l'informazione”.
La rilevazione, formulata in collaborazione con gli uffici stampa nazionali e regionali della Uil e della Uilcom, è espressa in un documento che è stato approvato lunedì scorso dall’esecutivo nazionale del Sindacato e che nei prossimi giorni sarà oggetto di dibattito e confronto con la FNSI e con l’Ordine nazionale dei Giornalisti, nonché con il Ministro del Lavoro e delle Politiche sociale Elsa Fornero.


Ufficio stampa Uil e Uilcom

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